Nel dibattito in corso in Parlamento in questi giorni sul così detto ddl Zan, uno degli argomenti usati maggiormente dalle destre contro la sua approvazione è quello che le condotte criminali motivate da odio omofobico sarebbero già adeguatamente punite dal Codice Penale attuale. A dimostrazione che tale argomento è completamente privo di fondamento, riportiamo in seguito lo svolgimento di un processo celebrato nel 2019 presso il Tribunale di Treviso per un atto di violenza omofobica che il nostro simpatizzante Simone Carnielli ha dovuto subire. Lo svolgimento del processo, durato quasi un anno, é stato seguito con rigore dai compagni della Federazione Provinciale PRC di Treviso che in dimostrazione della solidarietà del Partito hanno seguito per intero tutte le numerose udienze fino alla sentenza. Non riteniamo di aggiungere altro al semplice resoconto degli atti processuali, se non ribadire con forza il sostegno di Rifondazione Comunista al disegno di legge Zan che ritieniamo, visto anche l’esito di questo processo, un’inderogabile necessità.

19 giugno 2016 “Treviso Pirde” Notte – A conclusione della manifestazione, alcuni membri dell’organizzazione dell’evento si attardano nelle operazioni di smontaggio del palco installato in piazza per l’occasione. I tre imputati del presente processo assieme ad altre persone non identificate, compiono un pestaggio nei confronti di Simone Carnielli, uno degli organizzatori presenti. 

Dai verbali delle indagini preliminari: un gruppo di quaranta elementi circa, tra cui alcuni esponenti di gruppi di estrema destra e della tifoseria calcistica cittadina già noti alla polizia, entra nella piazza; di questi otto persone circa si allontanano dai restanti componenti, circondano la vittima e spingendola verso il muro di cinta della piazza cominciano il pestaggio; in un secondo momento anche gli altri componenti si avventano sulla stessa persona che però riesce a fuggire; gli assalitori lo inseguono ma, accortisi della presenza nella piazza delle telecamere dei vigili urbani, desistono dall’inseguimento; nei momenti precedenti il pestaggio e immediatamente successivi allo stesso, gli stessi rivolgono insulti a sfondo omofobico verso la vittima e minacce sia verbali che simboliche, inseguendolo con una cintura brandita a frusta; a seguito dell’aggressione la vittima riceve assistenza medica presso il pronto soccorso per le ferite riportate, guaribili in tre giorni.

Nel decreto di citazione a giudizio, il Pubblico Ministero contesta in concorso tra tutti e tre gli imputati i reati di lesioni personali (art 582 co. 2) e minaccia aggravata dal modo simbolico (art. 612 co. 2), reati aggravati ulteriormente dall’avere profittato di circostanze relative al tempo e al luogo di commissione del delitto nonché relative alla persona offesa tali da ostacolare la sua legittima difesa (art. 61 n. 5): la pena complessiva prevista dalla legge è fissata per ciascun imputato nel massimo a cinque anni e quattro mesi di reclusione.

Alla prima udienza pubblica le Difese degli imputati sollevano immediatamente una eccezione preliminare: ai sensi dell’articolo 6 del D.lgs. 274/2000, la competenza a celebrare il processo per il reato di lesione personale spetterebbe al Giudice di Pace. 

Infatti, spiegano, nel caso di lesioni personali che comportano una malattia con prognosi sulla guarigione inferiore ai venti giorni, se non sono contestate dal Pubblico Ministero le circostanze aggravanti previste dal dall’articolo 604ter del Codice Penale – finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, tra cui non figura il motivo di odio omofobico [esattamente l’articolo su cui interverrebbe il DDL Zan – n.d.r.]- il reato è perseguibile solo a querela della persona offesa e la competenza è sempre sottratta al Tribunale.

Il Giudice aderendo a quanto proposto dalle difese, dichiara la propria incompetenza limitatamente all’imputazione di cui all’art 582 e ordina la restituzione dei relativi atti al Pubblico Ministero, che dovrà far ricominciare il processo da capo di fronte al Giudice competente. 

Non si hanno ulteriori notizie sul processo davanti il Giudice di Pace, che comunque non sarebbe arrivato a sentenza prima dell’intervento della prescrizione. 

Il giudizio, pertanto, prosegue solo sul reato di minacce aggravate, per cui il massimo della pena è di un anno e quattro mesi. Essendo la pena nel massimo inferiore a due anni, se vi sarà condanna all’esito del processo e qualunque sia la quantità della pena, sarà possibile concedere il beneficio della sospensione condizionale agli imputati che non avevano avuto precedenti condanne.

Compiute le questioni preliminari e costituitisi Carnielli come parte civile, comincia l’esame dei testimoni.

Le testimonianze richieste dal Pubblico Ministero e dalla Parte Civile ripercorrono complessivamente l’episodio, soffermandosi in particolare sul pestaggio causa delle lesioni, che però non sono più rilevanti in questo processo. Non forniscono alcun elemento significativo sulle minacce: a distanza di tre anni dall’accaduto nessuno di loro sa precisare parole o gesti costituenti minacce né riferirle personalmente ai presenti imputati. 

Un caso, in particolare desta attenzione. Un addetto tecnico allo smontaggio dell’impianto musicale, presente a poca distanza dal luogo dove sono avvenuti i fatti, durante l’esame dice di non ricordare nulla di specifico sull’accaduto. Questo nonostante nelle indagini avesse riferito informazioni particolarmente dettagliate. Contestatagli da parte del PM questa discordanza, risponde che quando aveva riferito quelle cose alla Polizia si sarebbe confuso, non essendo posizionato in un punto di osservazione chiaro al momento del fatto. La testimonianza si conclude nel dubbio. Il difensore di Parte Civile, nella sua aringa conclusiva, solleverà l’ipotesi che il teste sarebbe stato minacciato per ritrattare quanto aveva dichiarato in precedenza.

Avendo chiesto di essere ascoltato, Carnielli conferma la ricostruzione fornita dalle testimonianze d’accusa. Riferisce inoltre che uno dei soggetti lo avrebbe inseguito nella piazza con la cintura dei pantaloni brandita come frusta, identificando in uno degli imputati.

Il filmato delle videocamere installate sulla piazza viene quindi visto dal Giudice in contraddittorio con le parti. Da queste immagini di bassa qualità si riconosce comunque da alcuni particolari il medesimo imputato nell’atto dell’inseguire Simone Carnielli come lui stesso ha riferito. Il filmato è muto, non utilizzabile quindi per verificare le contestate minacce verbali.

Venuto il turno dei testimoni indicati dalle Difese, essi riferiscono che gli imputati si trovavano in città per un altro evento pubblico, ma non si sarebbero avvicinati al luogo di consumazione del delitto o sarebbero rientrati a casa prima della commissione dello stesso da parte di altri. 

In particolare, i due testimoni indicati dall’imputato identificato nel filmato escludono la sua partecipazione a qualsiasi fatto. Lo fanno con identici termini e usando il medesimo lessico aulico e non comune: sembra che stiano recitando a memoria una parte scritta da qualcun altro. Il Giudice interviene avvertendoli del filmato che dimostrerebbe il contrario. Uno dei testimoni conferma la sua versione, nonostante i ripetuti avvertimenti sulle conseguenze penali della falsa testimonianza, l’altro dice di non essere più sicuro di ricordare l’avvenuto.

Chiusa l’istruttoria dibattimentale, le parti espongono le rispettive conclusioni.

Il Pubblico Ministero nella sua requisitoria afferma che, con riferimento all’imputazione residua oggetto del processo, nel corso del dibattimento non è stata raccolta alcuna prova per ascrivere il fatto a due dei tre imputati, chiedendone l’assoluzione. Per quanto riguarda l’altro, nonostante il filmato e alcune testimonianze lo avessero identificato, per sommari elementi, come uno dei partecipanti all’evento, la relativa prova sarebbe insufficiente: chiede quindi l’assoluzione anche per lui ma solo per tale insufficienza.

La difesa di Carnielli non può far altro che associarsi alla richiesta di assoluzione dei primi due imputati fatta dal PM, mentre per l’altro ne chiede la condanna ritenendo invece raggiunta la prova della sua colpevolezza con sufficiente certezza, specialmente dal filmato assunto in contraddittorio.

Le Difese si associano alla richiesta di assoluzione del Pubblico Ministero, chiedendo per tutti la formula piena “non aver commesso il fatto”. Le Difese chiedono, inoltre, la condanna di Simone Carnielli, che ha sporto la denuncia-querela, a rimborsare agli imputati le somme pagate ai rispettivi avvocati per questo processo, del quale sarebbero completamente estranei.

Arrivati a sentenza, il Giudice assolve tutti gli imputati come da richieste del Pubblico Ministero, rigetta la domanda di risarcimento delle spese legali, fissa in giorni novanta il deposito della motivazione e, con riferimento ai testimoni di difesa dell’imputato assolto per insufficienza di prove, trasmette gli atti del processo al Pubblico Ministero perché chieda il loro rinvio a giudizio per falsa testimonianza in separato processo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *